La proroga dei termini per l'accertamento
dell’imposta comunale sugli immobili
Il comma 67 dell’art. 1 della legge 311/04 contiene una disposizione con cui vengono prorogati al 31 dicembre 2005 i termini per l'accertamento dell'ICI che sono scaduti il 31 dicembre 2004, limitatamente alle annualità di imposta 2000 e successive.
Per comprendere al meglio la portata della norma in esame sembra innanzitutto opportuno ricordare che l’art. 11 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, che disciplina il tributo comunale, stabilisce una serie di termini diversi a seconda del
tipo di atto che il comune emette a conclusione della fase di controllo.
Infatti:
- l'avviso di liquidazione deve essere notificato al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Nel caso di liquidazione delle somme dovute a seguito dell’attribuzione della rendita catastale da parte del competente ufficio dell’Agenzia del territorio, il termine di decadenza è quello del 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è avvenuta la notificazione della rendita stessa, ai sensi dell’articolo 74, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342;
- l'avviso di accertamento in rettifica deve essere notificato entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta;
- l'avviso di accertamento d’ufficio deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia avrebbero dovuto essere presentate ovvero a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta.
Questi diversi termini hanno creato non pochi problemi agli enti locali che, in ragione dei meccanismi che caratterizzano il tributo non sono mai riusciti ad eseguire i controlli entro le scadenze stabilite dalla legge.
Ciò ha comportato il continuo ricorso alle proroghe dei termini in questione - ben evidenziate negli schemi che seguono - a partire dall' ICI 1993, annualità il cui gettito era diviso tra gli enti locali e lo Stato, che si era anche riservato il compito di effettuare i controlli.
Dalla lettura delle norme di proroga è facile evidenziare come i comuni hanno potuto recuperare l'ICI 1993 fino all'anno 2000, ben oltre, quindi, i termini stabiliti
dalla legge.
E' chiaro che questa situazione crea un notevole squilibrio tra la posizione dell'ente impositore e quella del contribuente, che viene esposto all'attività di controllo del comune per un periodo che rischia di diventare illimitato e comunque assai più ampio di quello lasciato al contribuente per poter ottenere il
rimborso dell'imposta erroneamente versata.
Per di più non si può dimenticare che il legislatore non manca di sottolineare che tutto ciò avviene in deroga ad uno dei principi fondamentali dell'ordinamento tributario, sancito nell'art. 3, comma 3, dello Statuto dei diritti dei contribuenti, approvato con la legge 27 luglio 2000, n. 212, in base al quale “i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”.
Si tenga conto che, relativamente alla fase di liquidazione, il legislatore è dovuto correre ai ripari, infatti, con il D.L. 30 dicembre 2004, n.314, (Legge 1° marzo 2005 n. 26) ha contemplato anche il rinvio dei termini di liquidazione ICI fino al 31/12/2005 limitatamente alle annualità 2000 e successive.
Si deve precisare, infine, che le scadenze sono basate sulle disposizioni dell'art. 11, del D. Lgs. n. 504 che distingue l'accertamento con obbligo dichiarativo da quello senza obbligo dichiarativo.
A titolo di esempio si deve rilevare che è consentito al comune emettere gli avvisi di accertamento riguardanti anche l’anno 1999, poichè per variazioni relative a tale annualità, la dichiarazione ICI avrebbe dovuto essere presentata nell’anno 2000 e per tale omissione l’art. 11, comma 2 del D. Lgs. n. 504 del 1992, dispone che l'avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Si deve poi sottolineare che gli atti di contestazione delle violazioni di carattere formale non collegate all’ammontare del tributo, regolate dall’art. 14, comma 5, del citato D. Lgs. n. 504 del 1992 sono esclusi dalla proroga dei termini in questione, poichè il comma 67, della legge finanziaria non fa alcun esplicito riferimento a tali atti.
Non si può fare a meno di precisare che la proroga in esame non incide in alcun modo sull'attività dei comuni che hanno introdotto la comunicazione in luogo della dichiarazione ICI, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lettera l), del D. Lgs. 15
dicembre 1997, n. 446.
Infatti, in tal caso devono essere rispettati tutti i criteri indicati dalla norma prima citata, tra cui sono annoverati i termini di decadenza stabiliti nel proprio regolamento che non devono superare il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello a cui si riferisce l’imposizione.
Le nuove disposizioni dettate per il catasto che
hanno impatto sull'ICI
Vi sono nella legge finanziaria 2005 alcune norme che hanno molti riflessi sull'ICI .
A tal fine si devono citare le disposizioni contenute nei commi da 332 a 339 che attengono ad una serie di interventi finalizzati tutti all'emersione del sommerso.
Infatti, con il comma 332 - che modifica il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, recante “Disposizioni relative all’anagrafe tributaria e al codice fiscale dei contribuenti” - viene allargata la tipologia degli atti nei quali deve essere indicato il numero di codice fiscale. Così dal 1° gennaio 2005 è stabilito che sia nelle denunce di inizio di attività presentate allo sportello unico comunale per l’edilizia e nei permessi di costruire e negli altri atti in materia edilizia e sia su tutti i contratti relativi all’erogazione dei servizi di pubblica utilità relativi alla fornitura di acqua e gas sarà obbligatorio indicare il codice fiscale.
L'intento è ben chiaro ed è esplicitato nella modifica apportata all’art. 7 del citato D.P.R. n. 605 del 1973, dove, al quinto comma, è aggiunto il seguente periodo: "Al fine dell’emersione delle attività economiche, con particolare riferimento all’applicazione dei tributi erariali e locali nel settore immobiliare, gli stessi soggetti devono comunicare i dati catastali identificativi dell’immobile presso cui è attivata l’utenza".
I soggetti ai quali la norma si riferisce sono gli stessi su cui incombe l'obbligo di comunicare i dati catastali identificativi dell'immobile presso cui viene attivata l'utenza, e cioè “le aziende, gli istituti, gli enti e le società” che sono tenute a comunicare all’anagrafe tributaria i dati e le notizie riguardanti i contratti relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas.
Il successivo comma 333 dispone, inoltre, che “a decorrere dal 1º aprile 2005 le aziende, gli istituti, gli enti e le società richiedono i dati identificativi catastali all’atto della sottoscrizione dei relativi contratti; per i contratti in essere le medesime informazioni sono acquisite dai predetti soggetti solo in occasione del rinnovo ovvero della modificazione del contratto stesso".
Il comma 334 prevede, infine, l'emanazione di un provvedimento dei direttori delle Agenzie delle entrate e del territorio, per stabilire "le informazioni analitiche che individuano univocamente le unità immobiliari, da acquisire con riferimento ai contratti di cui al comma 333". (G.U. 23/3/2005 n.68 - vedi allegato)
Saltando l'esame delle norme della finanziaria si arriva al comma 558 che interviene sull’art. 23, comma 7, del citato Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia che reca la “disciplina della denuncia di inizio attività”. (D.P.R 6 giugno 2001, n.380)
Con la norma in questione viene stabilito che una volta ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività. Dal 1° gennaio 2005, quindi, il progettista o un tecnico abilitato deve contestualmente presentare una ricevuta dell’avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate, ovvero una dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento.
I successivi commi 335 e 336 affrontano, invece, nuove disposizioni per la revisione dei classamenti di fabbricati, allo scopo di garantire una maggiore equità sul piano fiscale e contrastare efficacemente i numerosi fenomeni di elusione e di evasione fiscale.
Nel comma 335 è riconosciuto ai comuni di maggiore dimensione che hanno articolato il proprio territorio in più microzone, il potere di richiedere la revisione del classamento su porzioni di territorio ai sensi del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138.
In particolare la norma consente di agire per addivenire alla "revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali".
Deve quindi trattarsi di zone che sono ritenute anomale ed assai sperequate, nelle quali, cioè, l'effettivo valore di mercato- in ragione, ad esempio, del degrado subito dall'area interessata - è divenuto estremamente minore rispetto a quello di analoghe zone o, al contrario, ha assunto dei valori che risultano essere assai meno elevati di quelli che la particolare localizzazione dell'area meriterebbe. Si pensi, ad esempio, ad immobili situati nei centri storici di città di grandi dimensioni che hanno una rendita catastale assai bassa a fronte di un valore di mercato elevatissimo, rispetto ad immobili costruiti nell'estrema periferia - e quindi con un valore commerciale molto meno elevato - ai quali vengono attribuite rendite catastali assai più alte dei primi.
La procedura prende, quindi, le mosse dai comuni che devono richiedere agli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio detta revisione del classamento. Questi, dopo averne verificato la sussistenza dei presupposti, attivano il procedimento revisionale che sfocia in un provvedimento del direttore dell’Agenzia.
Si deve rilevare che il valore medio di mercato è aggiornato "secondo le modalità stabilite con il provvedimento di cui al comma 339" che impone l'emanazione di un provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, con il quale "sono stabilite, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, le modalità tecniche e operative per l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 336 e 337"
Siamo quindi di fronte ad una norma che rappresenta un chiaro esempio di governo del territorio, che è una delle funzioni essenziali dell'ente locale, al quale è stata appunto riconosciuta la facoltà di attivare detta revisione.
Desta, però, molte perplessità il fatto che la revisione del classamento può essere attivata solamente per le unità immobiliari di proprietà privata.
Il comma 336, prevede un procedimento per la revisione del classamento per singola unità immobiliare, addossando nei fatti tale funzione al contribuente.
La norma stabilisce, invero, che il comune nel momento in cui individua sul proprio territorio immobili di proprietà privata - anche in questo caso, si osservi, sono esclusi immotivatamente gli immobili di proprietà pubblica - che non risultano dichiarati in catasto o la sussistenza di situazioni di fatto che, a seguito di intervenute variazioni edilizie, non sono più coerenti con i classamenti catastali, deve richiedere ai titolari dei diritti reali sulle unità immobiliari interessate la presentazione di atti di aggiornamento, redatti ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, che disciplina la cosiddetta procedura DOC-FA.
La richiesta predisposta dal comune deve contenere, oltre agli elementi constatati, anche la data, ovviamente accertata, alla quale si può far riferire la mancata presentazione della denuncia catastale.
Detta richiesta deve essere ritualmente notificata ai soggetti interessati e comunicata, naturalmente con gli estremi di notificazione, agli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio.
I soggetti interessati devono ottemperare alla richiesta del comune entro 90 giorni dalla data della notificazione.
Se questi non si attivano, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono all'iscrizione in catasto dell’immobile non accatastato o alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate e procedono, quindi, alla notificazione delle risultanze del classamento e della relativa rendita.
Gli oneri della procedura rimangono, naturalmente, a carico dell’interessato.
Gli effetti della notificazione delle rendite catastali
Strettamente collegate alle norme appena commentate sono i commi 337 e 338 della legge finanziaria.
La prima delle due norme stabilisce che le rendite che risultano dichiarate o che vengono comunque attribuite a seguito della notificazione della richiesta del comune, in deroga alle disposizioni vigenti producono "effetto fiscale" rispettivamente:
♦ dal 1º gennaio dell’anno successivo alla data, indicata nella richiesta notificata dal comune, a cui deve essere riferita la mancata presentazione della denuncia catastale;
♦ dal 1º gennaio dell’anno della notificazione della richiesta del comune, se in questa non è riportata l'indicazione della data a cui deve essere riferita la mancata presentazione della denuncia catastale.
La norma contenuta nel comma 337 presenta la stessa finalità della disposizione dell'art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, in base alla quale, come si ricorderà, dal 1º gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell'ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita.
Sono note a tutti le difficoltà interpretative sorte in ordine agli esatti confini applicativi di questa disposizione che è nata essenzialmente allo scopo di tutelare il contribuente, al fine cioè di garantirgli un'effettiva difesa nei confronti dell'atto di attribuzione della rendita catastale che, nella stragrande maggioranza dei casi, non veniva in alcun modo portata a conoscenza dell'interessato nè da parte degli uffici locali dell'Agenzia del territorio al momento dell'attribuzione, nè dal comune.
Ciò che non si è mai voluto comprendere è proprio la logica sottesa alla norma in questione che, una volta eliminata la rendita presunta, ha portato ad escludere che il comune possa richiedere il tributo prima ancora che il contribuente abbia a sua disposizione gli elementi per determinarlo.
Bisogna dire che il legislatore già da tempo aveva indotto l'ente locale a potenziare i controlli sul proprio territorio, come ad esempio è avvenuto grazie alla norma contenuta nel comma 58 dell’art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che consente ai comuni di attivare i necessari contatti con l'Agenzia del territorio affinchè provveda all'iscrizione in catasto degli immobili non censiti. La norma dispone, infatti che : “Gli uffici tributari dei comuni partecipano alla ordinaria attività di accertamento fiscale in collaborazione con le strutture dell'amministrazione finanziaria. Partecipano altresì all'elaborazione dei dati fiscali risultanti da operazioni di verifica. Il comune chiede all'Ufficio tecnico erariale la classificazione di immobili il cui classamento risulti non aggiornato ovvero palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche. L'Ufficio tecnico erariale procede prioritariamente alle operazioni di verifica degli immobili segnalati dal comune.”
In pratica, però, il ricorso a detta norma da parte dei comuni è stato poco significativo e lo dimostra il fatto che il legislatore abbia voluto intervenire di nuovo sulla questione, articolando meglio i vari passaggi procedurali da svolgere. La disposizione del comma 337 pur inserendosi nella stessa scia e pur essendo limitata ai soli immobili di proprietà privata, propone però delle evidenti eccezioni alle regole generali vigenti in materia.
Innanzitutto, la rendita nei casi contemplati dalla norma in esame ha effetto non dalla data della sua notificazione – che invero, in caso di presentazione del DOC-FA coincide con quella della sua presentazione - ma dal 1º gennaio dell’anno successivo alla data che il comune ha indicato nella richiesta notificata al contribuente come momento in cui deve essere riferita la mancata presentazione della denuncia catastale.
Se il comune non ha prove certe su tale data, la rendita ha effetto dal 1º gennaio dell’anno della notificazione della richiesta del comune.
L'attività impositiva del comune per essere correttamente svolta avrebbe però bisogno di un ulteriore elemento e cioè quello della data di notificazione delle rendite al contribuente da parte dell'Agenzia del territorio. Non sempre si è assistito però al corretto svolgimento della procedura in questione, poiché risulta che non tutti i comuni ricevono le necessarie comunicazioni sull'argomento, ma a volte sono stati costretti a provvedere direttamente alla notificazione, in barba ad ogni funzione istituzionale assegnata alla suddetta Agenzia.
Con il comma 337 si è andati oltre le richieste dei comuni, poiché detta norma ha legato l'efficacia della rendita al momento in cui viene notificato al contribuente un atto emesso dal comune, o comunque un elemento contenuto nella richiesta del comune. Tutto ciò vale anche nel caso in cui vi è nei fatti una notificazione effettuata dall'Agenzia del Territorio, quando cioè il contribuente non rispetti la richiesta del comune entro 90 giorni dalla data della sua notificazione e quindi gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio devono procedere, a norma del comma 336, "alla notificazione delle risultanze del classamento e della relativa rendita" ovviamente al contribuente.
A titolo meramente esemplificativo si può pensare ai seguenti casi pratici:
FATTISPECIE EFFICACIA DELLA RENDITA CATASTALE
Il comune il 19 aprile 2005 notifica al contribuente la richiesta di presentazione del DOC-FA di un immobile di proprietà privata che non risulta dichiarato in catasto ed ha prove certe in ordine alla data cui avrebbe dovuto essere presentata la denuncia in catasto, e cioè il 7 gennaio 2003.
Efficacia della rendita 1° gennaio 2004
Il comune il 19 aprile 2005 notifica al contribuente la richiesta di presentazione del DOC-FA di un immobile di proprietà privata che non risulta dichiarato in catasto ma non ha prove certe in ordine alla data cui avrebbe dovuto essere presentata la denuncia in catasto.
Efficacia della rendita 1° gennaio 2005
Il comune il 19 aprile 2005 notifica al contribuente la richiesta di presentazione del DOC-FA di un immobile di proprietà privata che non risulta dichiarato in catasto, ed ha prove certe in ordine alla data cui avrebbe dovuto essere presentata la denuncia in catasto, e cioè il 9 giugno 2003. Il contribuente, però, non ottempera alla richiesta entro novanta giorni dalla data della sua notificazione. Gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio notificano le risultanze del classamento e della relativa rendita al contribuente il 13 ottobre 2005.
Efficacia della rendita 1° gennaio 2004
Il comune il 19 aprile 2005 notifica al contribuente la richiesta di presentazione del DOC-FA di un immobile di proprietà privata che non risulta dichiarato in catasto, ma non ha prove certe in ordine alla data cui avrebbe dovuto essere presentata la denuncia in catasto. Il contribuente, però, non ottempera alla richiesta entro novanta giorni dalla data della sua notificazione. Gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio notificano le risultanze del classamento e della relativa rendita al contribuente il 13 ottobre 2005.
Efficacia della rendita 1° gennaio 2005
Per le sanzioni da irrogare, nel caso in cui il contribuente non rispetti le prescrizioni delle disposizioni in commento, provvede il comma 338 il quale stabilisce che :"Gli importi minimo e massimo della sanzione amministrativa prevista per l’inadempimento degli obblighi di cui all’articolo 31 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, dall’articolo 31 del medesimo regio decreto-legge n. 652 del 1939, come rideterminati dall’articolo 8, comma 1, del decreto legge 30 settembre 1989, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 1989, n. 384, con riferimento al mancato adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 20 e 28 del citato decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, sono elevati rispettivamente a euro 258 e a euro 2.066".
Collegato alla procedura relativa all’iscrizione degli immobili in catasto è il successivo comma 375 il quale dispone che "gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati possono essere prodotti e notificati ai soggetti intestatari, a cura dell’Agenzia del territorio, avvalendosi di procedure automatizzate. In tal caso, la firma autografa del responsabile è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo dello stesso".
E’ questa una nuova modalità di notificazione della rendita catastale che non avviene, dunque, in forma cartacea come prevede invece l'art. 74 della legge n. 342 del 2000, ed in base alle norme che attualmente regolano il processo di notificazione, ma attraverso non meglio precisate procedure automatizzate.
Ciò che non risulta molto chiaro è perchè la norma faccia riferimento, parlando della firma autografa del responsabile, all’"indicazione a stampa del nominativo dello stesso", visto che non si sta trattando di materiale cartaceo.
LA TASSA PER LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI
La nuova modalità di determinazione della
superficie di riferimento
Il comma 340 modifica il comma 3 dell’articolo 70 del D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che disciplina la procedura di presentazione delle denunce in materia di TARSU, aggiungendo dei periodi in base ai quali a decorrere dal 1º gennaio 2005, per le unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria censite nel catasto edilizio urbano, la superficie di riferimento non può in ogni caso essere inferiore all’80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138.
In relazione agli immobili che sono già stati denunciati, i comuni provvedono a modificare d’ufficio, dandone comunicazione agli interessati, le superfici che risultano inferiori alla predetta percentuale a seguito dell’ incrocio dei dati comunali, comprensivi della toponomastica, con quelli dell’Agenzia del territorio, secondo modalità di interscambio stabilite con provvedimento del direttore della predetta Agenzia, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
La procedura individuata nella legge finanziaria scatta nel caso in cui mancano, negli atti catastali, gli elementi necessari per effettuare la determinazione della superficie catastale. In tal caso i soggetti privati intestatari catastali, hanno l’obbligo, su richiesta del comune, di presentare all’ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio la planimetria catastale del relativo immobile, secondo le modalità stabilite dal regolamento di cui al D.M. 19 aprile 1994, n. 701 - la cosiddetta procedura DOCFA - per l’eventuale conseguente modifica, presso il comune, della consistenza di riferimento.
Il problema di fondo che si affaccia a seguito della lettura della norma induce a ritenere che le nuove disposizioni si applicano esclusivamente alle unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria censite nel catasto edilizio urbano anche se questa interpretazione restrittiva lascia del tutto insoddisfatti perché non si vede alcuna ragione per legittimare la disparità di trattamento attuata dalla norma in commento tra soggetti che abitano in immobili di proprietà privata e quelli che abitano in immobili di proprietà pubblica.
Questi ultimi soggetti sarebbero, infatti, in ogni caso assoggettati all’accertamento da parte del comune, indipendentemente dai limiti di superficie di riferimento individuata.
In sostanza se la superficie dichiarata dal contribuente che abita in un immobile privato è pari o superiore all'80 per cento di quella che assume rilievo ai fini catastali non dovrebbe sussistere alcuna particolare preoccupazione per i contribuenti che abitano in immobili di proprietà privata. Se al contrario da questo calcolo imposto dalla norma risulti un forte scollamento dal suddetto parametro di determinazione della superficie valida ai fini del calcolo della TARSU, allora scatta il nuovo meccanismo delineato dal legislatore che impone ai comuni di effettuare una serie di controlli sugli immobili già denunciati.
Se il comune riscontra che le superfici dichiarate risultano inferiori alla suddetta percentuale, devono modificarle d’ufficio e devono dare comunicazione al contribuente. Il comune non può, però, limitarsi a comunicare detto dato al contribuente, ma deve effettuare una vera e propria notificazione del dato che assume rilevanza ai fini della determinazione del tributo e che dovrà quindi essere adottato per il corretto assolvimento del tributo da parte dell’interessato. In questo modo il comune è garantito di fronte all'ipotetica eccezione del soggetto passivo TARSU di non aver avuto notizia dell'esatto parametro da adottare, circostanza che potrebbe assumere un fondamentale rilievo in fase di contenzioso.
Nel caso in cui non siano presenti gli elementi necessari per effettuare la determinazione della superficie catastale il contribuente, su richiesta del comune, deve presentare all’ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio la planimetria catastale del relativo immobile, secondo le modalità stabilite per la procedura DOC-FA, affinchè venga effettuata la modifica, presso il comune, della consistenza di riferimento.
La finalità della disposizione è quella, da un lato di far emergere nuova materia imponibile ai fini TARSU e dall’altro, quello di provocare nei fatti un aggiornamento del catasto attraverso la fattiva collaborazione dei contribuenti, poiché questi ultimi sono tenuti a presentare la planimetria dell’immobile ed effettuare la procedura DOC-FA, se non esistono gli elementi per appurare la superficie di riferimento.
Occorre, infine, riflettere sulla circostanza che il legislatore del tutto immotivatamente, ha limitato l’operatività della norma ai soli comuni che applicano la TARSU e non a quelli che,invece, sono già passati in via sperimentale alla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani di cui all’art. 49 del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, meglio conosciuta come “Tariffa Ronchi”.
Non si può dire però che il legislatore, quest’anno, si sia completamente dimenticato della “Tariffa Ronchi”, poichè essa è stata oggetto di una delle successive disposizioni della finanziaria e cioè del comma 523 che ha per il terzo anno consecutivo prorogato il termine di passaggio da un’entrata di carattere tributario ad un'entrata di carattere patrimoniale.
La norma in commento interviene sull’art. 11, comma 1, del D.P.R. 27 aprile 1999, n.158, con cui è stato approvato il “Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”, nel quale veniva disposto che i comuni avrebbero dovuto obbligatoriamente introdurre la Tariffa Ronchi e disapplicare la TARSU entro la fine della fase di transizione della durata massima che era articolata nel modo seguente:
a) tre anni, e cioè il 1° gennaio 2003, per i comuni che abbiano raggiunto nell'anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all'85%;
b) cinque anni, e cioè il 1° gennaio 2005, per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l'85%;
c) otto anni, e cioè il 1° gennaio 2008, per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%;
d) otto anni, e cioè il 1° gennaio 2008, per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999.
Sulla base delle disposizioni contenute nel comma 523, i comuni di cui alle lettere a) e b), che avrebbero quindi dovuto introdurre necessariamente la tariffa, sono esonerati da questa incombenza in quanto hanno ottenuto un altro anno di slittamento dei termini.
Si deve evidenziare che la norma della finanziaria ha di fatto scongiurato il pericolo per alcuni comuni, e cioè quelli che hanno raggiunto nel 1999 un grado di copertura dei costi tra il 55 e l'85%, di dovere applicare obbligatoriamente la tariffa, perché nella bozza della legge finanziaria questi enti non apparivano, in quanto il legislatore aveva dimenticato che per l'anno in corso anche questi comuni non sarebbero stati più beneficiati dalla sospensione prevista dallo stesso art. 11 del decreto n. 158 del 1999.
L’ennesima proroga della tariffa è senz’altro sintomatica di un’altra esigenza che potrà essere tra poco appagata, vale a dire quella di mettere a frutto l’esperienza maturata da parte dei comuni che hanno applicato in via sperimentale la Tariffa ed apportare gli essenziali correttivi al sistema in esame.
L’occasione è offerta dall’approvazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, che conferisce al Governo la delega per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta
applicazione. Uno dei criteri direttivi per attuare la delega, infatti, sarà proprio quello di “assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più razionale definizione dell’istituto”.
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