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News - Corte di Cassazione Civile sez. tributaria 14/1/2005 n. 661
ministro_siniscalco_344.jpgFATTO La Società D.I.S.s., quale proprietaria di un immobile, di cui facevano parte un magazzino, un alloggio ed un locale destinato a pubblico esercizio, con istanza del 13 aprile 2001, chiedeva al comune S.R.C. l’esenzione Tarsu e la riduzione ICI, motivando la richiesta con il mancato utilizzo per mancanza di licenze. Il Comune rigettava l’istanza di riduzione Ici per mancanza dei presupposti previsti dall’art. 8 del D.L.gs n. 504/1992, e nulla deliberava in merito alla Tarsu. Con ricorso del 7 luglio 2001, la società proponeva opposizione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di riduzione Ici, deducendo il difetto di motivazione sotto un triplice profilo ed insistendo sulla spettanza delle esenzioni. Il Comune resistente si costituiva; quanto alla esenzione Tarsu, replicava che aveva seguito il principio del silenzio-assenso; quanto alla parziale esenzione Ici, replicava che gli immobili erano agibili ed abitabili. La Commissione tributaria provinciale di Torino, con la sentenza n. 7/07/2002, depositata il 12 marzo 2002, respingeva il ricorso. La società proponeva gravame, riproponendo le medesime tematiche, con specifiche censure sia in ordine alla violazione di legge, sia in ordine ad omesse pronunce. Il comune appellato si costituiva e controdeduceva. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello della società. Veniva così motivato: in ordine all’Ici, evidenziava che la temporanea mancanza di autorizzazioni non era prevista dalla normativa vigente come motivo di riduzione, in quanto gli immobili erano agibili ed abitabili; in ordine alla Tarsu, riconosceva che il mancato utilizzo degli immobili rappresentava un caso di non assoggettabilità della tassa e rilevava che comunque il comune aveva seguito il principio del silenzio-assenso, come era confermato dalla circostanza che non era stato richiesto il relativo pagamento. Per la cassazione di questa decisione la D.I.s.s. ha proposto ricorso, notificato il 26 luglio 2003, con l’articolazione di tre complessi motivi. Il comune resiste con controricorso, notificato il 20 ottobre 2003. DIRITTO 1. Con il primo mezzo è stata dedotta la violazione e mancata applicazione dell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e l'omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 62 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ed all'art. 360, nn. 3) e 5), del codice di procedura civile. Con la seconda doglianza è stata censurata la violazione e mancata applicazione dell'art. 62, comma 2, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e la violazione e mancata applicazione dell'art. 8, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e la omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 62 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ed all'art. 360, nn. 3) e 5) del codice di procedura civile. Con il terzo motivo è stata rilevata la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 comma 2, del D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425 e D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504; la violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 504/1992; la violazione e mancata applicazione dell'art. 2697 del codice civile; l'omessa od insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia; in relazione all'art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992 ed all'art. 360, nn. 3) e 5) del codice di procedura civile. Il comune controricorrente replicava a tutte le censure ex adverso dedotte. 2. Il ricorso è destituito di fondamento. Non sussiste, innanzitutto, il vizio motivazionale dedotto sotto molteplici profili. La sentenza della Commissione tributaria regionale risulta analiticamente articolata in ordine ad entrambe le questioni, costituenti il nucleo della controversia; quello attinente all'Ici e quello relativo alla Tarsu. La motivazione, ancorchè stringata, consente di ricostruire esaurientemente l'iter logico-giuridico del decisum. Inoltre, quanto al centrale thema decidendum, il ricorso deve essere rigettato sulla base dell'esegesi letterale della fondamentale norma dell'art. 8, comma 1, del D.Lgs. 3 dicembre 1992, n. 504. Secondo la richiamata disposizione occorre che vi sia una dichiarazione ("dichiarati") di inagibilità o inabilità, cui consegua (congiuntiva "e") non la non utilizzabilità in astratto. Orbene, mancava nella fattispecie la prova del presupposto principale: la dichiarazione conseguente all'accertamento dell'inagibilità o della inabilità da parte dell’Ufficio tecnico comunale. Tale dimostrazione incombeva alla parte contribuente, non solo per i noti principi regolatori dell'onere della prova, ma ancor più perchè veniva invocata una normativa di carattere sostanzialmente agevolativo, tale dovendosi considerare la riduzione dell'Ici del 50 per cento (art. 8, comma 1, citato). 3. Per le ragioni svolte il ricorso deve essere rigettato. Le spese di giudizio. liquidate come da dispositivo vanno poste a carico della soccombente D.I. S.s. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso, condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 750,00, di cui 650,00 per onorario, oltre accessori di legge.

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