Giurisprudenza - Corte di Cassazione Civile 4/1/2005 n. 96
La controversia ha per oggetto l'impugnazione, proposta da parte del contribuente signor _________ contro il rifiuto oppostogli dal Consorzio Gestione acque costituito tra alcuni comuni, tra cui quello di ______, in cui risiedeva, di rimborsargli la somma versata quale canone per la depurazione delle acque per l'anno 1995.
Il contribuente sosteneva di risiedere in una zona collinare non servita da alcuna rete fognaria.
La commissione di primo grado di Novara respingeva il ricorso, e questa decisione veniva confermata, con sentenza n. 6/6/02, in data 22 gennaio /20 marzo 2002, dalla Commissione Tributaria Regionale del PIEMONTE.
Avverso la sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 28 aprile 2003, con due motivi.
Resiste il Consorzio Gestione Acque, con controricorso notificato il 12 giugno 2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 14 LS n. 36/94.
Si duole che la commissione tributaria regionale avrebbe travisato il fatto ed omesso di applicare la legge.
Ribadisce di non essere allacciato alla fognatura, e contesta la nozione di scarico indiretto su cui si era basata la commissione.
Sostiene che non tutti gli scarichi costituivano scarico indiretto, ma solo quello che consentiva l'immissione nel corpo ricettore della fognatura.
Nel caso di specie invece mancava del tutto questa possibilità, e perciò il servizio, nè poteva essere sufficiente l'occasionale svuotamento della fossa biologica.
Inoltre la commissione tributaria regionale avrebbe applicato alla fattispecie, del 1995, norme successive, che del resto non avrebbero riguardato quella fattispecie concreta.
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della LS n. 36/94 e della LS n. 172/95.
Sottolinea di avere censurato la condotta del consorzio che esigeva un canone senza un servizio.
Sostiene che invece la depurazione si doveva pagare solo se effettuata, ed era illegittima la sua imposizione ad un contribuente che non era in grado di utilizzare il servizio.
3. Il consorzio contrasta gli argomenti proposti a sostengo dell'impugnazione ed eccepisce, tra l'altro, che la causa ha ad oggetto l'applicazione dell'imposta per l'anno 1995, e che allora, nel quadro normativo in vigore prima del decreto legge n. 22/1997, il conferimento di liquidi all'impianto consortile mediante autospurgo costituiva uno scarico indiretto per il quale non si verificava nessuna imposizione a carico dei soggetti operanti.
In ordine poi al secondo motivo di impugnazione il resistente nega di sostenere il principio dell'esazione in ogni caso di depurazione.
Aveva sostenuto piuttosto l'obbligo al pagamento del canone anche in mancanza di un impianto e l'obbligo dell'utente di conferire i propri liquami, in assenza di allacciamento, all'impianto consortile.
4. I due motivi, strettamente connessi tra loro, debbono essere trattati congiuntamente.
Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento.
In realtà , infatti l'obbligo di corrispondere il canone di depurazione prescinde dall'effettiva utilizzazione del servizio, anzi dalla stessa possibilità concreta di utilizzarlo.
La materia è regolata, infatti, dall'art. 14, relativo alla "tariffa del servizio di depurazione" della legge 5 gennaio 1994, n. 36.ì
La norma dispone in particolare, al primo ed al secondo comma che
"1. La quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione.
2. Gli utenti tenuti all'obbligo di versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al comma 1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti."
Se dunque il canone di depurazione era dovuto anche quando il comune fosse sprovvisto degli impianti centralizzati di depurazione, o questi fossero temporaneamente inattivi, a maggior ragione lo erano anche quando il singolo utente non fosse ancora collegato all'impianto pur esistente.
A questo effetto specifico la locuzione impianto centralizzato di depurazione va inteso in senso ampio, riferito cioè non soltanto ai macchinari che effettuano le operazioni di depurazione ma neanche all'insieme degli impianti fognari che collegano ad essi le zone abitate del comune consentendo così l'utilizzazione dell'impianto e la piena attuazione, nell'interesse pubblico, dell'inattività centralizzata di depurazione dei liquami provenienti da tutte le utenze, sia industriali che domestiche, situate all'interno di quel determinato ambito territoriale.
Ciò significa che tra gli impianti centralizzati temporaneamente inattivi, cui si riferisce la norma per sottolineare che anche in quel caso l'utente è tenuto ugualmente al pagamento del canone, vanno considerati anche quelli che per il momento non sono ancora stati collegati con quella specifica utenza: si tratta di impianti che temporaneamente sono ancora inattivi in parte qua, per quel che riguarda la struttura fognaria di collegamento alla singola utenza.
Come pure sottolinea la norma i proventi dei canoni dovuti dai contribuenti in caso di inesistenza o temporanea inattività dell'impianto affluiscono su di un apposito fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione ed alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione; in caso di mancato completamento dell'impianto complessivamente inteso dovranno essere vincolate in particolare alla realizzazione della parte ancora non operativa, vale a dire nel caso di specie alla realizzazione della condotta fognaria di collegamento tra la singola utenza e le strutture operative dell'impianto centralizzato di depurazione.
Quando l’impianto centralizzato di depurazione sia esistente ed operativo, e nella parte in cui lo sia, il canone è diretta a finanziarie le spese di normale gestione; se invece non lo sia , e nella parte in cui non lo sia, quel canone è destinato, invece essenzialmente al finanziamento (altrimenti non sempre facilmente realizzabile) delle spese necessarie alla sua realizzazione o al suo completamento (ivi comprese quelle per l’esecuzione degli impianti fognari di collegamento tra le singole utenze e le strutture operative centrali dell’impianto.)
5. L’interpretazione dell’art. 14 deve essere estensiva perché, in realtà, la disposizione va letta all’interno dell’intero impianto della legge n. 36/1994, che è diretta a disciplinare la gestione complessiva delle acque, e, tra l’altro, a garantire la loro qualità ed a favorire la depurazione dell’acque nere.
In particolare, l’art. 6 nell’indicare le modalità per il riutilizzo delle acque reflue dispone che il Ministro dell’ambiente adotti con apposito decreto le norme tecniche riguardanti, tra l’altro “le modalità per la realizzazione, la conduzione, e l’adeguamento di impianti di depurazione e di reti di distribuzione delle acque reflue per i diversi usi”.
Il successivo art. 7 sul trattamento delle acque reflue urbane stabilisce che lo stesso ministero emani un altro decreto contenente il programma nazionale che “definisce le direttive, i criteri e gli indirizzi affinché i comuni siano provvisti di reti fognarie e le acque reflue urbane siano depurate”.
A sua volta l’art. 16 stabilisce che ciascuna ente locale abbia facoltà di realizzare le opere necessarie per provvedere all’adeguamento del servizio idrico in relazione ai piani urbanistici.
L’intento del legislatore nell’emanare l’art. 14 era dunque quello di favorire la depurazione delle acque e perciò di indurre i comuni a dotarsi di un impianto centralizzato di depurazione e a collegare ad esso le zone abitate.
Questo spiega perché appunto gli utenti siano tenuti all’obbligo di versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura indipendentemente dal fatto di usufruire in concreto del servizio e dalla stessa possibilità di farlo.
6. Ciò significa che il singolo utente è tenuto a corrispondere obbligatoriamente il contributo di depurazione anche quando non ne faccia uso effettivamente, trattandosi di un servizio pubblico irrinunciabile, che gli enti pubblici sono tenuti ad istituire, ed alla cui gestione i potenziali utenti sono tenuti a contribuire attraverso il versamento del canone stesso, ma anche quando il servizio non sia stato ancora istituto o comunque manchi il collegamento di esso con quella singola utenza.
La precedente normativa, quella degli artt. 16 e seguenti della legge 10 maggio 1976, n. 319 (modificata dall’art. 3 del decreto legge 28 febbraio 1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153), comportava invece – come rilevato dalla giurisprudenza che ne aveva data applicazione (Cass. civ., 24 luglio 2003, n. 11481; 11 novembre 1994, n. 9434; 9 marzo 1992, n. 2800) – l’obbligo di corrispondere il canone indipendentemente dall’effettiva utilizzazione del servizio ma soltanto per effetto della sola istituzione del servizio e dell’allaccio alla rete fognaria pubblica, e perciò l’obbligo era condizionato appunto all’esistenza dell’impianto centralizzato ed all’allacciamento fognario ad esso della singola utenza.
Deve essere affermato perciò il presente principio di diritto:
“In base alla legge 5 gennaio 1994, n. 36, il servizio di depurazione delle acque reflue costituisce un sevizio pubblico irrinunciabile, che gli enti gestori sono tenuti ad istituire per legge.
In forza dell’art. 14 della legge stessa gli utenti, anche potenziali, sono chiamati a contribuire tramite il versamento di un apposito canone sia alle sue spese di gestione ordinaria che a quelle di installazione e di completamento, comprese quelle per il collegamento fognario delle singole utenze.
Il c anone per i servizi di depurazione delle acque reflue è dovuto indipendentemente non solo dall’effettiva utilizzazione del servizio, ma anche dalla istituzione di esso, o dell’esistenza dell’allacciamento fognario ad esso della singola utenza.”
7. Di conseguenza il ricorso deve essere respinto.
Tenuto conto delle specifiche circostanze della fattispecie sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso
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